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Dizionario di didattica

Leonardo Trisciuzzi

Ed ETS - 88-467-0410-x

Esempio 3

 

 

ESEMPI

attivismo

ipertesto

Montessori Maria

indice dei lemmi

 


Metodi didattici

"Metodo didattico" viene considerato quello sul quale si costituisce l’attività dell’insegnante. Si tratta di un insieme di regole, consciamente ordinate, che dirigono una attività didattica in classe. Numerosi sono i metodi, se si considera che sin dai tempi più remoti qualcuno ha cercato di insegnare qualcosa a qualcun altro. Tra i numerosi metodi sono da rilevare, nel campo della scienza, il metodo deduttivo e induttivo. Il primo, il metodo deduttivo è quello classico legato al procedimento che passa dal generale al particolare, da una premessa a una conclusione. Il metodo deduttivo, tipico della filosofia scolastica, venne chiamato anche "a priori", ideale, soggettivo, sintetico. Il metodo induttivo, che prevalse nella prima metà del secolo XVII ed è considerato tipico della scienza (Bacone, Galilei), fu definito "a posteriori", sperimentale, analitico. Ma vediamo l’impiego di questi metodi a scuola. Con il metodo induttivo si cercano le leggi partendo dal particolare e ricostruendo il tragitto (tipico delle scienze applicate); con il metodo deduttivo si parte da un assioma, che si dà per certo e assoluto, o da una ipotesi di lavoro, e si deducono le leggi implicate (tipico delle leggi filosofiche e matematiche).
Ci sono anche metodi più direttamente collegati alla didattica, come quelli per l’apprendimento della lettura e della scrittura. Di questi, i metodi più antichi risentono di una impostazione deduttiva, mentre quelli più moderni hanno premesse di carattere induttivo e risentono molto degli studi di psicologia dell’apprendimento. Tra i metodi per l’insegnamento della lettura, sono da ricordare:
o il metodo alfabetico, o metodo fonico, perché inizia l’apprendimento dalla conoscenza dei suoni e delle lettere dell’alfabeto [D. Gasparini, Da Ickelsamer a Comenio, Roma, Armando, 1984];
o il metodo sillabico, in quanto ritiene che la prima struttura conoscitiva sia la sillaba, non la vocale o la consonante, separate;
o il metodo proposizionale: come dice il nome, l’apprendimento partiva dalla conoscenza mnemonica di una proposizione che conteneva tutte le possibili composizioni dei suoni.
o il metodo globale, oggi più in uso: si parte dalla parola, legata alla figura che l’allievo conosce, e si apprende a leggere "globalmente", per l’appunto, per parole, unendo il suono al segno e al significato; quindi non più per suoni o segni che non hanno alcun significato e servono solo per esercizio ideofonico.
I metodi per l’apprendimento della scrittura affondano nella notte dei tempi e si differenziano dal tipo di supporto, dallo stilo e dall’inchiostro. Ancora all’inizio del secolo XVII l’apprendimento della scrittura iniziava riproducendo a ricalco le singole lettere su carta o su altro materiale (sabbia, lavagna), seguendo una traccia prefissata, lettera per lettera. Nell’Ottocento la scrittura preferita era il corsivo pendente, come veniva chiamato il corsivo obliquo; non mancavano studiosi che cercavano di introdurre nelle scuole il metodo della scrittura diritta, sempre in corsivo, però, che ha continuato a dominare fino ai nostri giorni. Soltanto quando gli studi dell’età evolutiva si sono diretti a evidenziare come il bambino percepisce lo spazio intorno a lui e in rapporto con il proprio corpo (Piaget, soprattutto: J. Piaget, B. Inhelder, La répresentation de l’espace chez l’enfant, Paris, PUF, 1947), si è arrivati a comprendere tutte le difficoltà che si può incontrare nell’apprendere a scrivere.
Diversamente dall’apprendimento della lettura, in quello della scrittura s’inserisce il fattore motorio. Allo scolaro è, in più, richiesta la capacità di una coordinazione oculo-motoria correlata alla percezione dello spazio. Dal punto di vista cibernetico (inteso in senso di autoregolazione), lo scolaro non deve soltanto saper cogliere visivamente la differenza caratterizzante i diversi elementi che compongono i segni grafici (sia la struttura delle singole lettere, sia quella più complessa della parola intera), ma deve anche saper percepire la differenza tra i relativi schemi motori, onde poter riprodurre tali differenze graficamente. Il problema, così stabilito, si collega:
A ai principi topologici*, secondo le teorie psicologiche di Piaget, relativi agli elementi grafici che lo scolaro deve riprodurre;
B ai principi cibernetici*, relativi sia alla comprensione e misurazione dello scarto, per cui si rende necessario offrire allo scolaro il carattere grafico più facilmente percepibile; sia al feedback* e al rinforzo*, per dare allo scolaro la possibilità di rilevare lo scarto e di verificare il proprio prodotto a mano a mano che apprende a scrivere.
Lo studio dello sviluppo delle nozioni di spazio s’impone per più ragioni nella psicologia dell’età evolutiva. Nel lavoro fondamentale su tale argomento di Piaget, è emerso chiaramente che nell’evoluzione delle diverse forme del pensiero infantile, dal pensiero pre-operatorio a quello reversibile, il problema dello spazio presenta un’importanza fondamentale. Come ha osservato Merleau-Ponty, "il mio corpo non è il corpo che ho, cioè l’oggetto dell’anatomia e della fisiologia, ma il corpo che sono, che io esperisco attualmente, che io vivo" [M. Merleau-Ponty, La struttura del comportamento, Milano, Bompiani, 1963, p. 345].
Nello studio sulla rappresentazione dello spazio nel bambino, che si richiama al grafismo come principale rivelatore della capacità da parte del bambino di cogliere tale rappresentazione, Piaget divide lo spazio in: percettivo e rappresentativo. Il primo è caratteristico dei bambini al di sotto dei due anni ed è dato solo dalle percezioni; il secondo inizia verso i tre anni, quando il bambino comincia a "costruirsi" la figura percepita, a rappresentarla. Ecco allora il punto di partenza degli esperimenti fatti da Piaget: studiare il passaggio dalla percezione di certi rapporti spaziali alla rappresentazione degli stessi, per comprendere quali vengano compresi per primi. Ancora una volta vediamo presentarsi prima i rapporti topologici, quindi i proiettivi e da ultimi gli euclidei. Infatti lo spazio del disegno spontaneo e delle prime forme geometriche si struttura topologicamente. Accade, cioè, che il bambino, pur conoscendo già le forme euclidee attraverso la percezione visuale, nei suoi disegni dimostra di cogliere solo i caratteri topologici (specialmente quelli di vicinanza e separazione) di tali figure, non i loro caratteri di "forma regolare". Quindi interviene la rappresentazione intuitiva dell’ordine e la trasposizione dell’ordine intuitivo in ordine lineare; anche questa intuizione lineare è basata sul rapporto topologico fondamentale della vicinanza prima di diventare articolata (per cui il bambino riuscirà a stabilire delle corrispondenze complesse od operatorie). Ciò porta alla distinzione del punto e del continuo: i soggetti arrivano ad una sintesi dei rapporti topologici che trovano la loro espressione generale nel continuo, il quale fornisce così un fondamento razionale alle loro manifestazioni intuitive.
Le prime espressioni prospettiche, rovesciamenti e svolgimenti, sono significative della struttura proiettiva dello spazio: solo a partire da qui il bambino giungerà ad una strutturazione euclidea dello spazio stesso. Cronologicamente le intuizioni topologiche si situano verso i tre anni: il passaggio all’ordine proiettivo a sua volta non può esser considerato completo prima dei sette anni: la costruzione euclidea infine si realizza dai sette ai nove anni. Tutto ciò significa che tra la percezione dei rapporti spaziali intercorrenti fra parti di figure e la loro rappresentazione corre una significativa differenza, necessaria per comprendere la distinzione fra intelligenza senso-motoria e intelligenza rappresentativa.
Un bambino anche molto piccolo (due anni) è in grado di apprezzare differenze fra la forma di un cerchio e quella di un quadrato, ma, anche se non vi sono particolari difficoltà grafiche, non è in grado di riprodurre queste differenze; la spiegazione di ciò sta appunto nella distinzione tra spazio percettivo e spazio rappresentativo. L’apprendimento della scrittura passa tra queste difficoltà di carattere spaziale ed è stato comprovato che l’apprendimento è possibile, dal punto di vista motorio e intellettivo, quando la capacità intellettivo-percettiva del bambino supera la percezione topologica e acquisisce quella euclidea. Si è arrivati alla conclusione che il tipo di scrittura che meglio risponde a questa esigenza è lo stampatello.
Nella storia dell’apprendimento della scrittura i passaggi sono stati molti e alcuni anche eccessivi: basti pensare che la cultura anglosassone si è fermata alla scrittura con lo stampatello minuscolo, che ha molte qualità di quello maiuscolo con, in più, la possibilità di essere usato correntemente e non soltanto durante l’età scolare, ma anche dopo, da adulti, mentre nella nostra cultura ha inciso l’uso dell’amanuense medievale che ha "inventato" il corsivo, che altro non è che il legame tra le lettere al fine di accelerare la scrittura in quei tempi. Ancora oggi, sebbene sempre più raramente, il corsivo è rimasto il carattere grafico che viene impiegato all’inizio della scolarità (a sei anni), mentre nel medio evo era considerato la massima espressione della capacità di scrivere. Da qui le note difficoltà. Natura non facit saltus.
Scrittura
Disegno
Spazio (percezione dello)
Interesse
Globale, metodo didattico
G. Catalfamo, Il globalismo, Milano, Viola, 1954.
L. Smeriglio, "Il globalismo" in La pedagogia, a cura di L. Volpicelli, Milano, Vallardi, 1970.

 
     

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